Banche estere non sempre collaborative col Fisco italiano

di S.O.L.F.I.

Marisa Buzzin Tazzini Caccia e Donatella De Leone Mapelli: necessari chiarimenti

ItaliaOggi

Per ciascuna attività finanziaria che compone il patrimonio detenuto all’estero il contribuente deve chiedersi quale sia il corretto inquadramento, immaginando che detti titoli fossero stati emessi in Italia. Un compito non facile, che si presta a interpretazioni soggettive e quindi a possibili rettifiche, tali da comportare scostamenti anche importanti nei conteggi delle rendite e nel relativo impatto fiscale.

Collaborazione a macchia di leopardo per quanto riguarda gli intermediari esteri: alcuni sono rapidi ed efficienti, altri necessitano di numerosi solleciti. E a complicare le cose intervengono talvolta cause di forza maggiore indipendenti dalla volontà delle parti: per esempio il fatto che non tutti i paesi prevedono per le banche l’obbligo di detenere la documentazione contabile per almeno dieci anni.

E non sono rari i casi in cui l’intermediario nel frattempo ha cessato l’attività, è stato acquisito o si è trasformato in un’altra entità giuridica. Ad affermarlo sono Donatella De Leone Mapelli e Marisa Buzzin Tazzini Caccia, fondatrici di Solfi srl.

Domanda. Quanto tempo richiede la gestione di una pratica di voluntary?

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Risposta. È difficile fare una previsione standard, perché ogni situazione presenta caratteristiche tutte sue.

Se ipotizzassimo il caso di scuola dell’imprenditore che tramite false fatturazioni ha costituito fondi neri in un paese offshore e che con queste disponibilità abbia comprato e venduto titoli, inviato pagamenti estero su estero ed effettuato prelevamenti in contanti, con un periodo da mappare di cinque anni, adire la procedura in parola richiederebbe certamente mesi.

Quindi il consiglio è stato e rimane quello di attivarsi prontamente. In ogni caso c’è da evidenziare che il ricorso alla voluntary è stato in qualche modo rallentato da alcune discrasie aperte dal legislatore e che non hanno trovato positiva soluzione negli attesi chiarimenti diffusi dall’Agenzia delle entrate con la circolare n. 10/E dello scorso marzo.

D. Tra pochi giorni dovrebbe uscire una seconda circolare esplicativa…

R. La prima circolare, sicuramente per esigenze di cautela, non ha affrontato i quesiti più importanti e spinosi.

Auspichiamo che la seconda riesca giocoforza a colmare interpretativamente le lacune lasciate dal legislatore, al fine di permettere una massiccia adesione.

Lo scenario che si profila è quindi quello in cui le domande di adesione saranno inviate a ridosso della scadenza, soltanto quando si avrà definitivamente un quadro chiaro della procedura, con possibili rischi di «ingolfamento» nella lavorazione delle pratiche

D. Per ricostruire tutti i movimenti su un arco di tempo che va in media dai cinque agli otto anni è essenziale recuperare tutti i documenti. Qual è l’atteggiamento degli intermediari esteri che hanno detenuto o gestito i capitali?

R. In questo senso, gli accordi siglati fra gli stati avrebbero dovuto spianare la strada, ma non sempre è così. A fronte di banche che, oltre alla documentazione di competenza, forniscono perfino file con i calcoli dei dividendi, interessi a capital gain già fatti, in altri casi la realtà è ben differente, al punto che possono essere necessari dai 30 ai 60 giorni per la trasmissione di un semplice estratto conto. Dal confronto con alcuni colleghi degli stati interessati, è emerso che spesso le banche di quei paesi sarebbero restie a fornire la documentazione completa per il timore di poter venire coinvolte dal fisco italiano ed essere accusate in un secondo momento di complicità con il cliente o addirittura di averlo consigliato, favorendone l’evasione fiscale.

D. Quali le difficoltà maggiori per inquadrare gli attivi finanziari detenuti all’estero e calcolare i relativi rendimenti/imposte?

R. Le istruzioni dell’amministrazione finanziaria precisano che i redditi esteri debbano essere classificati come se questi fossero stati dichiarati in Italia. Il nostro regime impositivo sulle rendite finanziarie però è piuttosto datato e non sempre è compatibile con l’evoluzione che ha subito la finanza negli anni, specialmente all’estero. Secondo i canoni domestici i titoli possono essere divisi sostanzialmente in azioni, obbligazioni e strumenti atipici. Ma certi titoli stranieri di finanza strutturata, come pure quelli dei mercati emergenti, potrebbero rientrare in una o in un’altra categoria. Un esempio è quello dei «certifi cates», che sono strumenti di investimento che hanno la possibilità di investire in indici e azioni, o alcune polizze assicurative di diritto straniero.

D. Una possibile sempli ficazione che suggerisce?

R. Tra i punti che le prossime circolari dovranno chiarire c’è l’irrilevanza delle contitolarità dei rapporti ai fi ni della fruibilità del sistema forfetario. Come pure la classificazione reddituale dei proventi non dichiarati e costituiti o trasferiti all’estero, al fi ne di evitare fenomeni di doppia imposizione in sede di ricorso congiunto alla voluntary disclosure internazionale e nazionale.